Da almeno 5 anni l’espressione “digital transformation” è entrata a far parte del nostro linguaggio comune*, per indicare importanti cambiamenti che riguardano non solo gli ambiti lavorativi, quanto “tutti gli aspetti della società umana” (definizione Wikipedia).
La trasformazione digitale ci permette di esplorare nuove possibilità, abilitando nuovi tipi di innovazione in molti aspetti della nostra esistenza.
E se la tecnologia è l’ambito in cui maggiormente riscontriamo questa “rivoluzione”, a cosa serve se chi la usa non ne comprende le dinamiche?

In un precedente articolo abbiamo parlato del reskilling, come una delle strategie per mantenere l’azienda competitiva, e di un dato dell’Harvard Business Review, che sostiene che oltre il 60% dei ruoli futuri di un’azienda può essere ricoperto da dipendenti già in organico (leggi qui).
Il reskilling delle risorse di un’azienda, quando necessario, si può supportare da una strategia altrettanto importante, e per certi aspetti meno “drastica” della prima, l’upskilling, un’evoluzione delle competenze di un professionista, potenziale “booster” del suo percorso di carriera.

Gap tra lavoro e formazione

Le competenze che molti di noi hanno messo a frutto negli anni scolastici e nei primi anni di lavoro, oggi potrebbero non avere più senso.
Se fino allo scorso millennio, il tempo di decadimento delle competenze professionali era di 10-15 anni, oggi si parla di una media di 5 anni, in base al tipo di mansione.
Pensiamo a un software developer uscito da scuola 20 anni fa.
Specializzatosi in un’epoca in cui il concetto di industria 4.0 nemmeno esisteva, oggi è chiamato a integrare costantemente le proprie competenze con ciò che il mercato chiede.
E questo gap si fa più o meno importante in base alle mansioni che ognuno di noi ricopre, con conseguenze che possono richiedere un piccolo aggiornamento delle competenze, o un vero e proprio reskilling, per obsolescenza della propria mansione.

Nel 2019 Amazon ha lanciato la campagna Amazon Upskilling 2025, in cui si impegna a migliorare le competenze di 300.000 dipendenti, con un investimento di 1,2 miliardi di dollari, e che includono non solo la formazione interna all’azienda, ma anche quella universitaria.

Competenze ferme al 20° secolo

Per chi è nato negli anni 80 o prima, sono esistiti i giorni in cui il paradigma “40 anni di lavoro in un’azienda e buona pensione” era possibile.
Oggi, secondo i dati dell’US Bureau of Labour Statistics il tempo medio di permanenza in un posto di lavoro è di 4,1 anni, e negli ultimi 3 anni il 35% delle competenze richieste sono cambiate (leggi il report).
E la scuola come si sta muovendo?

Sebbene negli ultimi tempi si inizi a vedere qualche trasformazione, ciò che i numeri dicono che è che la formazione è rimasta, per buona parte, ferma al millennio precedente.
Le strutture educative tradizionali non stanno al passo con il cambiamento.
E così le competenze di cui molti dispongono, una volta usciti dalle università e dalle scuole superiori, sono in parte obsolete, e a pagarne le spese sono le imprese, il sistema paese che non si evolve e, di conseguenza, i professionisti.
È ovvio quindi che laddove le istituzioni non rispondono, tocca alle aziende dare una risposta.
Nell’ultimo rapporto pubblicato dal World Economic Forum, i numeri sottolineano come l’aggiornamento di competenze dei professionisti sia determinante per la crescita dell’economia, di ancor di più in un momento storico come questo, di vera “rivoluzione delle competenze”.
Il rapporto del WEF sottolinea un potenziale aumento del PIL di 6,5 trilioni di dollari entro il 2030, attraverso l’investimento su larga scala nella riqualificazione.
E le aziende che per prime agiscono per aggiornare la loro forza lavoro, rimarranno davanti alla concorrenza, godendo di una fetta importante di quella torta (leggi il report).

Aggiornare il proprio team

Quanto indicato dal WEF potrebbe far storcere il naso a molte aziende, soprattutto quando queste si sentono “abbandonate” da un sistema percepito come poco interessato a sostenerle.
È senz’altro complesso, ma non impossibile.
Vediamo alcune strategie di supporto alla nostra forza lavoro, che eleveranno le sue competenze e il prestigio dell’azienda.

  1. Individuare aree e competenze prioritarie: è necessario dare priorità a quelle competenze che con più probabilità “sposteranno l’ago della bilancia”, concentrandosi sull’aggiornamento dei dipendenti i cui ruoli richiederanno queste competenze.
    Non ha senso elargire corsi a tutti senza avere un quadro chiaro delle aree che necessitano di maggior sostegno.
  2. Progettare i piani di aggiornamento: una volta compresa l’importanza dell’upskilling da parte dei collaboratori, andrà quantificato il tempo di formazione necessario, e il modo in cui integrarla al lavoro, regolando intelligentemente i due carichi affinché questi non si ostacolino a vicenda.
  3. Fissare obiettivi: la formazione andrà testata, quando possibile, e andranno fissate scadenze ed eventuali obiettivi di formazione, come il conseguimento di certificati o la messa in pratica di specifiche attività.
  4. Supportare attraverso mentor preparati: a volte possono essere interni all’azienda, altre volte bisogna ricorrere ad esterni.
    Dei professionisti qualificati, esperti della materia (non solo teorici), possono dare l’impulso che serve, definendo ciò che importa davvero per creare valore aggiunto.
    Quando disponiamo di professionisti interni preparati, si possono creare affiancamenti molto prolifici di figure senior e junior, favorendo rapporti di collaborazione e fiducia più profondi.
  5. Monitorare i progressi e correggere: crescere, significa anche saper tenere traccia di ciò che funziona e non fuziona.
    Un test finale, una certificazione, una prova sul campo, possono servire da bussola all’azienda e ai collaboratori, per comprendere l’efficacia degli sforzi ed eventualmente “correggere il tiro”.

Se non ora, quando?

Viviamo in un periodo storico in cui il mondo del lavoro cambia più velocemente che mai, e molte delle competenze apprese in ambito accademico diventano presto obsolete.
La centralità della formazione nella vita professionale di ognuno di noi è diventato un imperativo, non solo per sopravvivere alla pandemia o alle prossime sfide del futuro, ma per prosperare in un mercato sempre più affamato di competenze specifiche e verticali.

*dati Google Trends