Secondo il report “The future of Jobs” redatto dal World Economic Forum, l’Intelligenza emotiva (IE) è stata considerata una delle 10 soft skills più richieste del 2020, e se inizialmente solo le grandi aziende hanno iniziato a ricercare questa abilità, oggi è molto apprezzata praticamente da ogni azienda minimamente strutturata.

Quali sono i vantaggi dati dall’IE?

Uno studio di Entrepreneur.com, i lavoratori con un alto IE tendono a prendere decisioni migliori, mantenere la calma sotto pressione, risolvere i conflitti in modo efficace, rispondere positivamente a feedback costruttivi, lavorare bene con gli altri e dimostrare buone capacità di leadership (leggi l’articolo).

Partiamo dall’inizio: il “fallimento” del QI

All’inizio del XX secolo si inizia a dare importanza alla misurazione del Quoziente Intellettivo, inizialmente adottato per valutare l’intelligenza dei bambini, introdotto nelle più grandi aziende americane come parametro di assunzione dei loro dipendenti.
Per diversi anni il QI è stato uno strumento su cui si è fatto molto affidamento, fino a quando si sono iniziate a cogliere le tante incoerenze e incertezze nel provare le correlazioni tra punteggi e risultati reali.

Lo strumento del QI si diffonde ampiamente ma inizia a rivelarsi potenzialmente pericoloso.
Il mezzo sembra attendibile, ma si comincia ad abusarne e a non approfondirne i risultati, arrivando talvolta a essere utilizzato come strumento discriminatorio, soprattutto nei confronti dei tanti immigrati dell’epoca.

Quando alcuni studiosi del secondo dopo guerra iniziarono a confrontare i dati oggettivi della vita reale con i dati ricavati dai test sul QI, rimasero sorpresi nel constatare che a fronte di valori di QI inferiori alla media dei bianchi, i risultati effettivi di molte comunità immigrate superavano facilmente quelli degli individui nati negli Stati Uniti, ed evidenziavano l’inaffidabilità di questo metodo di valutazione.
Da qui il declino della misurazione del QI e l’inizio della ricerca di strumenti più efficaci, come l’Intelligenza emotiva, esistenziale, intrapersonale, ecc.

Come si è arrivati fin qui

Parlare di Intelligenza Emotiva non significa parlare dell’ultima “trovata” dei reparti HR.
Già alla fine del XVII secolo si inizia a studiare l’efficacia cognitiva data dalla somma di emozioni e capacità intellettive, passando per lo sviluppo del concetto di Social Intelligence (introdotto da Thorndike) fino al 1990, anno in cui si giunge a una definizione dell’intelligenza emotiva che riscontrò ampi consensi, quella di Mayer e Salovey.

I due docenti e ricercatori americani all’università di Yale, la definirono una forma di intelligenza sociale, che implica la capacità di conoscere, gestire e usare in modo appropriato le emozioni proprie e del prossimo, affinché queste possano essere d’aiuto a condurre pensiero e azioni verso le migliori soluzioni possibili.
L’intelligenza emotiva è fin qui considerata un insieme di pure abilità cognitive, separate ma comunque a supporto dell’intelligenza “generale”.

Il concetto di IE nel modello di Goleman

Pochi anni dopo il modello di Mayer e Salovey, uscirà un libro destinato a consolidare il concetto in modo ancora più preciso.
Con il libro Intelligenza Emotiva (pubblicato nel 1995), Daniel Goleman raccoglie innumerevoli risultati di studi e ricerche, che indicherebbero questa abilità come responsabile dello sviluppo di capacità comportamentali molto importanti, tra cui:

  1. essere in grado di motivare se stessi e perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni
  2. di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione
  3. di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare
  4. di empatizzare e sperare (pag. 62 del libro)

Benefici dell’IE nel mondo del lavoro

Le emozioni sono fondamentali per interagire con gli altri individui e “navigare” nell’ambiente sociale, di conseguenza le competenze emotive sono legate anche alle prestazioni lavorative.
L’intelligenza emotiva, infatti, è in grado di influenzare il livello di stress degli individui e la loro efficacia sul posto di lavoro, ed è un’abilità che, sebbene si formi durante l’infanzia, può essere migliorata nel corso della vita di un individuo.

Secondo il modello di Goleman, i quattro costrutti dell’intelligenza emotiva sono:

  1. Consapevolezza di sé
  2. Autogestione
  3. Consapevolezza sociale
  4. Gestione delle relazioni

Ognuno di questi elementi definisce delle competenze emotive non innate, ma acquisite nella crescita della persona, e sulle quali è importante lavorare costantemente, affinché sia possibile migliorare le proprie prestazioni personali e professionali.

IE e leadership

Una delle ambizioni di ogni manager che si rispetti è l’efficacia nelle relazioni, ed è per questo che il concetto di IE e leadership non possono “camminare” separati, in quanto le sue componenti permettono di far comunicare la sfera emotiva e gli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Un manager efficace si concentra sui comportamenti che contano, adottando il comportamento pertinente che porta valore alla propria compagnia.
Quali sono le abilità emotive su cui ogni buon manager dovrebbe lavorare?

  1. Riconoscere le proprie emozioni e, successivamente, quelle degli altri
  2. Imparare a usare le emozioni in modo efficace
  3. Migliorare (continuamente) nella comprensione delle emozioni
  4. Migliorare (continuamente) la loro gestione

Armonia ed equilibrio

L’intelligenza emotiva è quindi definibile come il giusto equilibrio tra due abilità molto importanti: quelle intrapersonali (che si riflettono su noi stessi), ovvero la consapevolezza di sé e la motivazione che ci caratterizza, e quelle interpersonali (nelle relazioni con gli altri), come le abilità sociali e l’empatia.

E tu, in che modo investi nella tua crescita personale?