La questione pandemica che ci sta colpendo ha costretto aziende, scuole e università a “trasferirsi” online, e a cercare soluzioni per garantire il corretto svolgimento delle prove di esame.
Sono nati così tanti software di proctoring come ProctorU, Proctorio, Respondus LockDown, ecc. a supporto del lavoro di monitoraggio e supervisione dei docenti durante le fasi di esame.
Come funzionano i software di e-proctoring?
In generale, questi programmi svolgono un monitoraggio tramite le webcam degli studenti esaminati, e riescono a tracciare (e in certi casi a bloccare) tutti i programmi avviati durante la sessione.
Ad esame concluso, è possibile esaminare un report in cui vengono indicati tutti i momenti “sospetti” dove il candidato potrebbe aver “barato”.
Vista in superficie, la questione potrebbe non destare sospetti, ma andando ad approfondire, alcuni dubbi vengono a galla.
Webcam, schermo, microfono e browser dell’utente sotto controllo, ma anche sistemi biometrici come il riconoscimento facciale e il tracciamento oculare possono “decidere” chi si comporta bene da chi è meno diligente.
E non è tutto, perché in alcuni casi il controllo prevede il check visivo dell’intera stanza, oltre alla raccolta dei dati legati alla cronologia di navigazione, la registrazione delle sequenze di tasti e clic del mouse.
In poche parole, da una parte ci sforziamo di trovare il modo per migliorare la nostra privacy e sicurezza online, e dall’altra creiamo software e contribuiamo alla diffusione di comportamenti che contribuiscono a metterle a rischio.
Qual è il limite tra permissibile e “spyware”?
Sono molte le associazioni preoccupate con questi sistemi di controllo che si stanno muovendo per fare chiarezza, e sempre più numerose le petizioni di studenti e professori di tutto il mondo (tra cui la famosa ban e-proctoring), per mettere un freno all’uso ancora poco regolamentato di questi strumenti.
Quanto sono diffusi questi software?
Attualmente, nei soli Stati Uniti sono almeno una cinquantina le università che usano e hanno intenzione di continuare ad utilizzare questi sistemi, ma anche in Italia ve ne sono diverse che ne fanno o ne hanno fatto uso, incappando talvolta in problematiche legate al loro funzionamento, e a una manifestata contrarietà di un considerevole numero di studenti.
Codice discriminante
Secondo uno studio di uno studente e ricercatore di un’università americana, uno dei software utilizzati da molte istituzioni educative utilizza un algoritmo per il rilevamento facciale che fatica molto a riconoscere i volti delle persone, ancor più quando questi sono di colore, con una frequenza di oltre il 50% dei casi (leggi l’articolo del suo blog).
Anche per gli studenti con disabilità può essere un problema non da poco, poiché alcune invalidità potrebbero essere incompatibili con il modo in cui l’algoritmo profila i comportamenti degli studenti, i quali potrebbero essere “taggati” come sospetti o addirittura imbroglioni, a causa delle proprie caratteristiche personali.
Dati a rischio
Se da un lato non è sempre chiaro l’uso che aziende e istituti educativi fanno dei tantissimi dati raccolti, dall’altro vi sono casi in cui i termini di utilizzo di questi servizi si rivelano da subito preoccupanti.
Infatti, sebbene nessuna di queste aziende rivendichi la proprietà delle informazioni fornite, una buona parte di loro può archiviarli, copiarli, utilizzarli, modificarli e condividerli con le proprie affiliate senza limiti di tempo.
E come tutte le aziende che conservano grandi moli di dati, anche queste sono sotto l’occhio attento del cybercrime, e i primi data breach non si sono fatti attendere.
Il primo attacco consistente è stato effettuato a danno della più famosa tra le aziende in questione, la ProctorU, che in un solo attacco ha visto oltre 400.000 record pubblicati su community hacker, composti da nomi e cognomi, indirizzi di casa ed e-mail, numeri di cellulare (dati McAfee).
La sicurezza prima di tutto
I software usati per controllare la regolarità del lavoro degli studenti, non sembrano essere ancora all’altezza su più fronti: si dimostrano invasivi verso la privacy degli studenti, possono accentuare le disuguaglianze esistenti nei risultati educativi, e dimostrano di non poter ancora eguagliare completamente il controllo che le scuole sono abituate a imporre in sede di esame.
Le istituzioni educative dovranno adattarsi all’apprendimento a distanza, capendo come valutare l’apprendimento degli studenti in modo giusto, equo e rispettoso della privacy e della sicurezza degli studenti.
Dovranno quindi accettare di non avere il completo controllo dell’ambiente di uno studente collegato da remoto, e non dovrebbero nemmeno volerlo.