“I grandi successi sono quasi sempre frutto del lavoro di grandi team”

È l’introduzione del famoso libro Extreme Teams, di R. B. Shaw, che inizia rispondendo a un’importante domanda: qual è il peso specifico di un team di lavoro efficiente?

Il fatto che un buon team fornisca un reale vantaggio competitivo è fuori discussione, ma la sua costituzione rimane ancora oggi un’impresa che richiede grandi sforzi per un’azienda, in termini organizzativi oltre che economici.
Esistono molti esempi di aziende che mettono al centro il loro personale, per le quali scegliere il candidato e metterlo nelle migliori condizioni per operare, non è solo una leva di marketing, ma fa parte dei valori della dirigenza (o di buona parte) che ritiene importante il supporto alle persone, aiutandole a prosperare nel contesto lavorativo.

La persona come punto di partenza

Banale da dire, ma ogni team è composto da individui, con necessità molto più diversificate, dinamiche e digitali di un tempo, e se gli ostacoli di oggi possono essere inediti (per il momento storico in cui viviamo), il successo dei “nuovi team” passa ancora da una base di fondamenti che nel tempo e nella sostanza non sono cambiati.
Per questo la selezione di ogni singola risorsa ha il potere di spostare gli equilibri in modo importante, in base, è chiaro, alle dimensioni dell’azienda e dal ruolo che questa andrà ad occupare.

Test della personalità

I responsabili della selezione del personale, oltre ad avere la giusta preparazione, possono disporre di diversi strumenti per valutare i candidati sia per la fase di recruiting, come per quelle di team building, gestione dei conflitti o sviluppo della leadership interna.
Tra gli strumenti chiave, troviamo i test della personalità o proiettivi.
Questo tipo di test, molto utilizzato in ambienti lavorativi ed economici, può mettere in condizioni un’azienda di organizzare in modo più efficiente il proprio ecosistema di lavoro, evidenziando tratti della personalità e degli atteggiamenti di un persona.

Breve storia

Impiegati dall’esercito americano nel primo conflitto mondiale, le prime versioni dei test dovevano servire per comprendere l’impatto che determinati imprevisti avrebbero causato ai soldati, e, di conseguenza, sull’operato delle truppe e sul risultato delle campagne di guerra.
100 anni dopo, questi test hanno subito molte revisioni per adeguarsi ai nostri tempi, ma non hanno mai smesso di supportare prima le aziende di grande portata, fino a quelle di dimensioni più contenute.

I principali test

Tra i principali strumenti per “misurare” la personalità ve ne sono principalmente 4 (Cattell’s 16PF, MMPI, Big Five, MBTI), e si distinguono tra loro per le teorie su cui si basano, oltre che al tipo di applicazione che se ne può fare.
Se prendiamo gli ultimi due (tra i più usati ci sono infatti Big Five e MBTI), differiscono tra loro per come tratti della personalità, come introversione ed estroversione, vengono considerati in una visione d’insieme, ed entrambi i test intendono delineare una proiezione delle prestazioni delle figure esaminate.

Obiettivo sempre a fuoco

Facilità di somministrazione e costo contenuto (rispetto ad altri strumenti di valutazione), stanno permettendo la diffusione dei test di personalità, e quando i loro risultati ci aiutano a individuare aspetti necessari al bene dell’azienda, diventano ottimi alleati anche degli stessi esaminati.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’obiettivo di ogni azienda è sì il raggiungimento dei risultati prefissati, ma questi saranno ancora più soddisfacenti quando anche le relazioni umane ne usciranno fortificate.
Risultati e relazioni devono andare di pari passo, in modo che si supportino sinergicamente, creando circoli virtuosi e vantaggi per tutti.

L’altro lato della medaglia

Se da un lato anche i numeri evidenziano il grande successo ottenuto da questi strumenti (con una crescita del 10-15% annuo), è fondamentale che se ne faccia un uso appropriato.
Alcune delle critiche mosse negli ultimi decenni, riguardano il loro uso indiscriminato, che potrebbe non evidenziare aspetti molto importanti delle risorse, ma che potrebbero rivelarsi utili ai team e all’azienda stessa.
Inoltre, la preoccupazione è che alcuni manager possano trascurare il ruolo delle loro competenze di gestione del personale, o dell’importanza delle condizioni “abilitanti”, identificate nei tre punti chiave di Richard Hackman (the Five Keys for successful teams):

  1. Direzione convincente, che deve essere in grado di: trasmettere energia, orientare e coinvolgere i suoi membri
  2. Struttura solida, fatta di: membri, compiti e processi ben allocati e progettati, oltre a norme che favoriscano dinamiche costruttive
  3. Contesto a supporto: in cui l’accesso agli strumenti, riconoscimento del lavoro e sistema educativo, aiutano allo svolgimento del lavoro e alla crescita professionale delle risorse

In conclusione

Che l’obiettivo aziendale sia l’assunzione di una nuova risorsa, o la costruzione di una nuova area operativa, ogni strumento deve andare a supporto di una logica aziendale chiara e delineata, evitando di affidarsi all’uso smodato di strumenti, che sono sì efficaci, ma spesso nascono per fare solo una parte del lavoro per cui sono pagati i bravi professionisti.